La Tintilia: a partire da 200 MT sul livello del mare…

Non è l’incipit in chiave moderna di un romanzo d’avventura, però il mare c’è, siamo nella regione che non esiste – il Molise – tormentone di tanti meme di questi ultimi anni.
Tra finti articoli scientifici e mappe dell’Italia con un buco nero al posto della fantomatica regione, trova posto una certezza: la Tintilia, il vitigno autoctono.

La scoperta della regione va di pari passo con la riscoperta di questo vitigno, che ha rischiato di estinguersi ma che, grazie alla caparbietà di alcuni viticoltori, è stato riportato alla luce, divenendone l’emblema enoico.
Introdotto in Molise dalla dominazione spagnola dei Borboni nella seconda metà del Settecento, anche il suo nome rimanda alla parola “tinto” che in castigliano significa rosso.

Da molisana, il nome Tintilia mi rimanda ad un’espressione dialettale, quando spesso, da piccola, sentivo dire “ ‘stu vin tegne lu bicchir”, ovvero “questo vino tinge il bicchiere.
L’ottenimento del riconoscimento della DOC Tintilia il 1° giugno 2011 ha visto rafforzata l’identità della sua appartenenza al territorio, grazie anche a studi sul DNA che hanno smentito la sua derivazione da un clone del Bovale sardo.

200 metri sul livello del mare è l’altitudine minima imposta dal disciplinare di produzione per i terreni collinari vocati alla coltura del vitigno Tintilia.
Le prime colline che “ospitano” i filari di Tintilia digradano verso il blu del mare Adriatico, con una prospettiva verso le Isole Tremiti e sullo sfondo le vette della Maiella.
Un vitigno a bacca rossa rustico, resistente al freddo, all’umidità e alle muffe ma con una resa non molto alta che però vede premiare la qualità sulla quantità, anche con la vinificazione in purezza.
Presenta grappoli spargoli e a volte alati, con bacche di piccole dimensioni, con buccia spessa e pruinosa di un blu intenso, violaceo, quasi nero.

Alziamo il calice e guardiamo il vino: si presenta di un color rubino intenso che vira al granato con l’invecchiamento.
Prima di passare all’assaggio, siamo catturati da sentori olfattivi eleganti ed aromatici dei frutti di bosco, della prugna, da qualche tocco floreale e, a rifinire il tutto, un contorno di note speziate, chiodi di garofano, pepe nero e liquirizia, se invecchiato anche note finali di vaniglia e polvere di cacao.
In bocca entra deciso e avvolgente, strutturato e con tannini morbidi, setosi ed esprime aromi complessi.
La tendenza è di berlo dopo una sosta medio-lunga di affinamento in legno, sostenuto da una buona acidità e da tannini importanti. Il finale è lungo e persistente.
Un vino con un carattere così deciso si esprime al meglio se abbinato ai piatti della tradizione molisana ricchi di gusto: provatelo con i cavatelli al sugo di maiale, con la pasta al forno, con il cinghiale in umido o con il cosciotto d’agnello al forno con le patate, non può mancare il caciocavallo stagionato o anche con una zuppa d’orzo o di farro.


Servite a 18°C.

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